INTERVISTA A FABIO PLANAMENTE (CANTIERE DEL PARDO E CONFINDUSTRIA NAUTICA) – Cosa puo’ succedere al mercato, alle aziende e alla filiera produttiva di barche a vela e dintorni. Intanto il Salone di Genova… Previsioni e scenari dagli addetti ai lavori/1

Fabio Planamente (Cantiere del Pardo) è Responsabile del settore Vela di Confindustria Nautica e quindi un osservatore privilegiato delle logiche e delle tendenze dei mercati che ruotano intorno alle barche a vela. Saily lo ha sentito per primo, in un percorso di analisi che coinvolgerà altri addetti ai lavori, per ascoltare le voci dal mondo delle aziende, dell’indotto, del lavoro, in un momento così particolare.

Come state vivendo questo periodo e quali sono i risvolti, nell’immediato e in prospettiva?

“Diciamo che siamo alla finestra. Speriamo che passino questi primi giorni di panico generale, la tempesta non riguarda solo l’Europa, ma l’America stessa, dove chi dovrà in pratica gestire le importazioni non sa ancora bene cosa accadrà. Il rischio che vedo nell’immediato è per i cantieri europei che hanno venduto in dollari e con consegne “franco destino” negli USA, dovranno purtroppo farsi carico di questi nuovi dazi, che significa un danno reale e significativo alle aziende.

“Diversamente per barche vendute in euro e franco cantiere, il dazio puo’ diventare un problema del cliente. E’ ovvio che nessuno in un momento simile vuole sobbarcarsi questo 20%: per un cantiere significherebbe assorbire tutto il margine di una vendita, un danno immediato notevole. Penso e spero che ci sarà una negoziazione da parte europea per rivedere questi dazi messi così sul piatto…”

Il problema è uguale per tutti i varia a seconda delle fasce di prodotto?

“Non è uguale per tutti. Per quanto riguarda i brand posizionati in una fascia alta di mercato, secondo me la reazione dei clienti sarà di metabolizzare i nuovi prezzi, se non subito nel medio periodo, senza grandi cambiamenti. Va considerato poi che il cliente statunitense non ha alternative, perché negli USA non ci sono cantieri che offrono barche a vela comparabili a quelle italiane o europee, ed è costretto a venire a comprare in Europa. Penso che dopo il panico e la metabolizzazione, diciamo un periodo di qualche mese, il cliente o non andrà più in barca o si farà ragione dei nuovi prezzi.”

Si parla di delocalizzare le produzioni, portandole negli USA.

“Questo per la nautica e la vela di una certa dimensione è improponibile. Prima di tutto oggi uno dei grandi punti di forza della nostra produzione di barche è il Made in Italy, sul quale dobbiamo anzi continuare a rafforzarci, non penso che barche come le nostre possiamo andarle a produrre in America con gli stessi standard e maestranze. Poi delocalizzare produzioni limitate e specializzate come le nostre avrebbe dei costi che non si giustificherebbero, l’ipotesi di duplicare degli stampi per fare una piccola produzione negli USA non tiene come modello di business.

“Oggi gli USA sono forti nei piccoli fisherman, una nicchia di mercato che per loro conta molto, ma ripeto: le barche a vela che oggi esportiamo oltreoceano non hanno un concorrente diretto negli Stati Uniti, sono tipologie di cliente diverse.”

Insomma i dazi sulle barche a vela colpirebbero soprattutto i clienti statunitensi.

“Spero che l’Europa ci pensi e rinunci all’idea di stabilire dei contro-dazi, perché a quel punto non avremmo solo il 20% del listino ma dovremmo aggiungere l’effetto negativo per i cantieri che dovranno acquistare merci o componenti che arrivano dagli USA a prezzi superiori, con aggravio ulteriore dei costi anche per i clienti europei. Penso a generatori, aria condizionata, dissalatori, equipaggiamenti prodotti in America che vanno portati in Europa e in Italia.”

Per le aziende di accessori, alberi, vele, attrezzatura di coperta, come influiscono i dazi?

“In realtà molti accessoristi vendono in Europa, proprio per quanto detto sulla produzione di barche di un certo tipo fatta in prevalenza nel nostro continente. Gli alberi delle barche vengono prodotti e usati come primo impianto in Europa, quindi non soggetti ai nuovi dazi. Di fatto questi produttori non avranno conseguenze, l’effetto concreto lo si vedrà solo sul prodotto finito una volta che verrà esportato.”

Dove si arriverà?

“Dubito che i dazi verranno tolti o azzerati dalle trattative, ma mi auguro una loro riduzione, magari a seguito di un ragionamento più scientifico e di valutazioni sul reale impatto della nautica negli USA sulle importazioni, che è minimo. E’ un lavoro che spetta alle associazioni di settore, come in Italia Confindustria Nautica, negli USA c’è NMMA (National Marine Manufacturers Association che sta facendo pressioni con la Casa Bianca spiegando la realtà del mercato nautico e i rapporti import-export in funzione delle diverse tipologie di produzioni.”

Qualora restassero i dazi attuali ci sarà una contrazione del mercato?

“Nei prossimi 6-12 mesi sicuramente ci sarà un momento di riflessione necessario ai clienti per metabolizzare questa nuova tassa, ma sul medio e lungo periodo il mercato riprenderà, perché se un cliente pensa a una barca a vela europea non è che a causa dei dazi ripiega su un fisherman statunitense. Certo, abbiamo visto già al recente salone di Palm Beach che il cliente è in posizione di attesa per capire cosa succederà con questi dazi, prima di chiudere l’ordine.”

Le prospettive sul Salone di Genova, che sta chiudendo le iscrizioni in questi giorni?

“Sul salone devo dire c’è tantissimo fermento, soprattutto nella vela c’è richiesta di più spazio, ci sono più iscritti e più barche rispetto allo spazio disponibile, quindi si sta lavorando nel cercare di creare un layout efficiente che possa dare a tutti la possibilità di partecipare. Sono dati riferiti alla partenza delle iscrizioni, sono molto positivi e danno un segnale di solidità e in controtendenza rispetto alla paura-dazi.”

Si parla anche, per reagire ai dazi USA, della ricerca di nuovi mercati. Quali per la vela?

“Ampliare il mercato rimane sempre il sogno di tutti i produttori. Parlando di vela le esportazioni verso gli Stati Uniti sono sempre inferiori rispetto al mercato europeo. Tutti gli altri ‘nuovi mercati’, un po’ per cultura e un po’ per lontananza, non sembrano in grado di creare una alternativa al mercato americano. Sono piccoli numeri, qualcosa in Asia con Singapore o Hong Kong, che essendo ex colonia britannica ha nel dna un po’ di cultura della vela, ma nei paesi emergenti quello che parte prima normalmente è il mercato del motore, percepito come di utilizzo più facile e immediato rispetto alla vela.

“Si sta alla finestra: la partita è ancora aperta. Si dovrà vedere cosa succede nelle prossime due settimane, prima con gli incontri che sembrano in programma negli Stati Uniti come quello del nostro governo, vediamo l’effetto che avranno. Per ora va superato il panico che dimostrano le borse, quando c’è isterismo la cosa migliore è restare col sangue freddo e attendere che passi lo tsunami creato da Trump.”

Newsletter Saily