
RICHOMME-DALIN ALL’ANTIVIGILIA, SIMON A NATALE, PEDOTE ALLA BEFANA, MA PRIMA… – Cosa è, quante storie racconta e perchè ha una fama sinistra il leggendario promontorio a 55 gradi di latitudine Sud. Gli italiani che lo hanno passato – FOTO E VIDEO
Terzo e ultimo grande capo di questo Vendée Globe, il passaggio di uscita dall’Oceano Pacifico e di entrata nell’Atlantico meridionale, segna la fine dei Quaranta ruggenti e soprattutto promette solitamente giorni migliori (ma occhio ai colpi di coda). È una rotta storica e fondamentale per il trasporto marittimo, resa famosa dai Clipper, ma è anche diventata un mito che ha contribuito in modo sostanziale alla leggenda del Vendée Globe e di altre regate intorno al mondo.
Descrivere Capo Horn? E’ una scogliera oscura, nerastra, alta 425 metri. È una roccia sinistra e fredda in una zona inospitale, una incombenza come minacciosa, non certo un panorama da riempire il cuore. A volte, dopo settimane di lotta contro l’oceano, i marinai non hanno nemmeno la possibilità di vederla, altri rimangono infine delusi da questo pezzo di terra che non dice nulla, se non segnare l’impresa che hanno appena compiuto, e che li farà entrare nel club dei cap-horniers.
Ci vogliono coraggio, abilità e pazienza per arrivare e poi superare il punto più a sud di tutti i continenti, pensate: è situato a 55°58′ di latitudine Sud e 67°17′ di longitudine Ovest. Geograficamente, è una piattaforma continentale, intorno al quale il fondale risale vertiginosamente dalle profondità oceaniche a poche decine di metri, provocando effetti importanti sul moto ondoso. Un imbuto incastrato tra le fredde acque dell’Antartide e le acque più temperate del Pacifico. Il meteo spesso infuria e non è raro che raffiche di vento superiori ai 70 nodi spazzino la zona, prevalentemente da Ovest a Est, la direzione non a caso di quasi tutte le regate e i record a vela, con le dovute eccezioni di chi è andato volutamente a cercare di doppiare Capo Horn “controvento”.

SCRITTI SU CAPO HORN
Lorenzo Pavolini “Quasi Capo Horn”, dal blog novantapercento.it) – “Sarà la suggestione di questo canale, intitolato al brigantino dove si imbarcò Darwin (il Beagle, 27 metri, tre alberi), ma nel percorrerlo verso est hai la chiara percezione di essere accompagnato per mano, come genitori decisi ad abbandonarti, dalle due sponde di paesaggio maestoso. Catene di montagne scure e innevate. Adesso dovrai cavartela da te, sarai sputato fuori, nella zona in cui l’evoluzione dell’uomo non ha risolto poi molto a suo vantaggio. È qui dove Pacifico ed Atlantico si travasano in un solo oceano, qui dove Verne pose il suo Faro in capo al mondo, all’estremità del Paese dei Signori degli Stati, ultima isola e propaggine della Terra del Fuoco, che si compie con maggiore evidenza la regressione antropologica per la quale ogni marinaio non è altro che un “membro della specie” e può contare tutt’al più sulla rudimentale speranza che i preparativi, le provviste e i calcoli circa correnti e maree siano adeguati a sostenere la riuscita del viaggio.”
Harry Thompson “Questa creatura delle tenebre”, Nutrimenti – L’avventura del Beagle in Terra del Fuoco e la tormentata amicizia tra il suo capitano Robert FitzRoy e Charles Darwin. L’emozionante racconto di un’impresa che ha riscritto il nostro passato e cambiato per sempre il nostro modo di guardare al futuro. È il 1828 e il giovane e brillante ufficiale della Marina britannica Robert FitzRoy riceve l’incarico di comandare il Beagle, brigantino della flotta di Sua Maestà, in un lungo, pericoloso viaggio per effettuare le rilevazioni cartografiche della Patagonia e della Terra del Fuoco. Si apre così una delle pagine più affascinanti nella storia della conoscenza.
LA SCOPERTA PER IL TRAFFICO MARITTIMO – La prima traversata conosciuta e registrata risale al gennaio 1616. Una nave olandese, guidata da Willem Schouten, finanziata da Isaac Lemaire, cercò di trovare un nuovo passaggio commerciale. La loro città natale, Kap Hoorn, dà il nome al mitico promontorio.
La loro scoperta è una manna per il traffico marittimo globale. Da ora in poi, non c’è più bisogno di attraversare il pericoloso Stretto di Magellano. Il traffico nella zona si intensificò nel XIX secolo a causa della corsa all’oro. Ma i marinai delle grandi navi che tentavano di attraversarlo da est a ovest spesso dovevano passare diversi giorni a combattere per doppiare Capo Horn. Nella primavera del 1788, l’equipaggio del Bounty, ben prima delle ultime inclinazioni all’ammutinamento, dovette attendere più di venti giorni, incapace di procedere nel mare agitato e nei venti gelidi. Il livello di pericolo è così elevato che si verificano numerose tragedie e centinaia di vite sono state perse qui nel corso della storia marittima.

I PRIMI VELISTI SPORTIVI – Solo nel 1968, durante la Golden Globe Challenge, la prima regata intorno al mondo senza scalo, gli skipper si avventurarono laggiù. Per i marinai del Vendée Globe o del BOC Challenge il giro in solitario a tappe o altre regate famose, è diventato un passaggio chiave, fonte di storie e vicende anche leggendarie. È il terzo capo ad essere doppiato (dopo Buona Speranza e Leeuwin). Pee gli esordienti è una grande novità, una impresa che segna la liberazione definitiva dalle difficoltà dei mari del sud e dal Pacifico.

Jean-Luc Van den Heede, concorrente della prima edizione del 1989, racconta in uno dei suoi libri*: “Devo ammettere che tremavo. Era un calderone infernale, ho solo dato la priorità a me stesso”. Nel 1997, fu nei pressi di Capo Horn che scomparve il canadese Gerry Roufs. Nella sua ultima comunicazione con l’organizzazione della gara, spiegò: “le onde non sono onde, sono più alte delle Alpi!” Nello stesso periodo, Isabelle Autissier descrisse raffiche che raggiunsero i 97 nodi! Lei e Marc Thiercelin provarono a cercare Roufs per un po’, ma le depressioni di dieci metri e il freddo gelido li costrinsero ad abbandonare rapidamente la ricerca. Fu solo un anno dopo che l’esercito cileno riuscì a trovare pezzi dello scafo al largo della costa dell’isola di Atalaya, a più di 300 miglia a nord di Capo Horn. Due anni dopo, nel 1999, la stessa Isabelle Autissier fu recuperata a bordo della sua barca rovesciata nei pressi di Capo Horn da Giovanni Soldini.
ITALIANI A CAPO HORN – Nel video qua sotto, una bella puntata della webserie SOLO! durante il Vendée Globe di quattro anni fa 2020-2021, si ripercorre la storia degli italiani che hanno passato Capo Horn in solitario e in regata. Ai nomi che trovate nel video (Fogar, Soldini, Bianchetti, De Gregorio, Di Benedetto, Pedote) vanno aggiunti: Andrea Mura e Riccardo Tosetto, che hanno passato in solitario il capo durante la Global Solo Challenge nel 2024, la regata organizzata da Marco Nannini, il quale a sua volta ha passato la mitica propaggine nel 2012 durante la Global Ocean Race su Class40, ma in doppio. Recente cap-hornier va ricordato anche Marco Trombetti l’armatore di Translated 9 lo Swan 65 italiano alla Ocean Globe Race di Don McIntryre, con equipaggio numeroso. Da sottolineare infine che Giancarlo Pedote è in corsa per essere il primo italiano a passarlo da solo in regata per la seconda volta (si trova a oltre 3000 miglia, passaggio previsto ai primi del 2025).




PAURA E SOLLIEVO – Quattro anni fa, Jean Le Cam parlava di “una frontiera”. Può testimoniare la durezza di Capo Horn: lui si è capovolto da quelle parti nel gennaio 2009. Vincent Riou e Armel Le Cléac’h hanno deviato la rotta per recuperarlo. La barca rovesciata, Vincent era riuscito a issare Jean a bordo del suo IMOCA PRB. “È stata un’emozione molto forte, complicata da gestire, cosa rara. Per tutta la vita, ricorderò lo sguardo di Jean”. 24 ore dopo il PRB disalberò. Recuperati dall’esercito cileno, i due marinai sono stati poi sbarcati in Patagonia.
Qualche anno dopo, Capo Horn ostacola di nuovo il cammino degli skipper del Vendée Globe. Durante l’ultima edizione, Yannick Bestaven ha ammesso di “aver avuto paura”. Ha spiegato: “è Nazaré senza sosta, ti sembra di surfare con onde di 8-10 metri”. Altri hanno storie difficili col Capo quattro anni fa, come Maxime Sorel (albero in acqua) e Boris Herrmann (randa strappata).

Doppiare Capo Horn offre un sollievo incredibile che tutti gli skipper condividono. “Ho pianto tutte le lacrime che avevo in corpo, ci è voluto così tanto sforzo per arrivare fin qui”, ha detto Damien Seguin quattro anni fa. C’è un prima e soprattutto un dopo da assaporare. “All’improvviso, senti meno tensione, ti senti più leggero”, ha detto Armel Tripon. E Thomas Ruyant ha concluso: “è pazzesco quanto sia brutale la transizione. Moralmente, mi sono sentito completamente rienergizzato dopo averlo fatto e di essere diretto a casa”. E’ quello che dice anche Pedote all’inizio del video al link poco sopra.
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