L’INCENDIO, IL NAUFRAGIO, IL RECUPERO DALLA NAVE MERCANTILE – Il 42enne ex giornalista e navigatore francese protagonista di un incidente raro e tremendo, nel quale ha visto affondare il suo Imoca Nexans – Art et Fenêtres. “Ringrazio tutti. Non cambia la mia passione per il mio lavoro e per l’oceano”

“Ciao a tutti. Sono sano e salvo su un mercantile che domani mattina mi lascerà alle Azzorre. Il mio Imoca Nexans – Art et Fenêtres è andato a fuoco davanti ai miei occhi. Tutti i miei sogni sono naufragati con la mia barca.” Parla così un navigatore che ha appena visto affondare la sua barca-casa-ufficio-vita.

Nexans – Art et Fenêtres, l’Imoca incendiato e affondato, è tra l’altro la barca costruita da Andrea Mura da Persico, per il Vendée Globe 2016, poi usata da un altro navigatore con il nome No Way back, e infine acquistata da Amedeo.

Alle 11:32 UTC di lunedi mattina, mentre si dirigeva a Cascais in Portogallo sulla sua IMOCA Nexans – Art & Fenêtres dopo che una serie di avarie lo aveva costretto a lasciare il percorso della Route du Rhum-Destination Guadeloupe durante il fine settimana, lo skipper solitario Fabrice Amedeo ha avuto un’esplosione a bordo che è stata immediatamente seguita da un violento incendio.

Amedeo è stato costretto ad abbandonare la sua imbarcazione che è affondata, sono subito state avviate le operazioni di soccorso. Allertati dalla direzione della corsa della Route du Rhum, i servizi di soccorso marittimo portoghesi hanno contattato le imbarcazioni presenti nell’area dell’incidente. Il vicino mercantile M/V MAERSK BRIDA è stato dirottato e l’operazione di soccorso è andata bene alle 14:32 UTC di lunedi pomeriggio. Amedeo ora è al sicuro a bordo del mercantile, non è ferito. Sarà sbarcato martedi nella città portuale di Ponta Delgada, sulla costa meridionale dell’isola di São Miguel, nell’arcipelago delle Azzorre. Lo stesso Fabrice, ex giornalista di 42 anni diventato navigatore oceanico, ha raccontato l’accaduto. Questa è la sua storia con le sue stesse parole.

“Domenica mattina: a bordo va tutto bene e sto facendo una grande regata. La barca vola forte nelle burrasche e il mare è pesante. All’improvviso mi rendo conto che un ballast è esploso su un’onda e che ho diverse centinaia di litri d’acqua nella barca. Mi fermo per sicurezza e comincio a svuotare tutto. In quel momento le batterie sono state subito colpite dall’acqua, si sono guastate e ho avuto un black out completo a bordo. Non avevo più elettricità: niente più pilota automatico, niente più computer, niente più elettronica. Decido, dopo aver consultato la mia squadra, di procedere con cautela verso Cascais.

“Domenica pomeriggio: improvvisamente gran fumo a bordo. Uso l’estintore, indosso il TPS (tuta di sopravvivenza), allerto la direzione gara che chiede a un concorrente della classe Imoca di deviare per assistermi in caso di necessità. Il fumo alla fine si ferma, almeno così pare. Decido di riprendere la rotta per Cascais. Incontro James Harayda, lo skipper di Gentoo che era venuto in zona per aiutarmi. Lo ringrazio e riprendo il mio percorso. Asciugo completamente la barca e mi preparo per una notte difficile. Ho dormito due ore la scorsa notte per riprendermi dalle emozioni e dal lavoro.

“Ancora una volta, due ore e mezza di siesta e poi sette ore al timone. Poco dopo le 12:30 c’è altro fumo a bordo. Seguito da un’esplosione, un botto. Torno a tentoni nella cabina e riesco a recuperare il mio TPS. Il mio Grab bag (borsa di sopravvivenza) che era rimasta nell’abitacolo. Torno a prendere la mia fede nuziale. Spingo l’estintore, ma non succede niente. Il fumo non è bianco come ieri ma giallo. La cabina di pilotaggio si deforma e ingiallisce. Gli spruzzi d’acqua di mare suonano come il suono dell’acqua che colpisce una casseruola. Capisco che dovrò abbandonare la barca. Avviso la mia squadra della possibile evacuazione. Quando riattacco, sono quindi a poppa della barca pronto a innescare la mia sopravvivenza: improvvisamente un torrente di fiamme fuoriesce dalla cabina e dal tettuccio. Sono preso in mezzo alle fiamme. Non riesco nemmeno ad aprire gli occhi. Riesco a spingere la zattera di salvataggio in acqua e saltare. Sono in mare davanti alla mia barca a fuoco.

“Normalmente l’estremità che tiene la zattera di salvataggio alla barca dovrebbe lasciarsi andare. Stavolta non lo fa: non si rilascia. La barca, che ho avuto il tempo di governare ma che ancora avanza spinta dal mare mosso, la tira e la fa riempiere d’acqua. Riesco a salire a bordo senza lasciarmi andare. Penso che sia stato questo l’esatto momento in cui è successo tutto e le cose hanno girato l’angolo per cominciare a funzionare bene. Mi dico: “se vuoi vivere hai pochi secondi per trovare il coltello e tagliare”. L’Imoca mi tira indietro verso di lei. Le onde mi avvicinano pericolosamente. La zattera sta andando alla deriva sottovento rispetto alla barca che è completamente in fiamme. Ci vorranno meno di 30 minuti perchè affondi. Ho parlato con la barca e l’ho ringraziata. Avremmo fatto il giro del mondo insieme tra due anni.

“Poi devi organizzarti. Il telefono satellitare non ha gradito l’acqua nella zattera e non funziona. Mi dico: “nessuno sa che la barca è affondata e che sei nella tua zattera, se attivi il beacon di segnalazione sull’Imoca che hai potuto portare con te e fai scattare quello sulla zattera, loro avranno l’informazione”. E’ ciò che faccio. Una scatola Tupperware contenente batterie mi salverà. Svuoto la zattera. Comincio l’attesa. Sto dietro la zattera in modo che non si ribalti. Il mare è molto, molto mosso, faccio il punto sull’attrezzatura di bordo e mi preparo per quello che verrà dopo. Raccolgo i razzi. Mi metto il VHF al collo. Trascorro tre o quattro ore su questa zattera. Sono sorprendentemente calmo. La zattera si riempie regolarmente d’acqua dalle onde che si infrangono leggermente. Capisco tutto questo e mi sento al sicuro. So anche, però, che non è finita.

“Ogni 30 minuti, per preservare le batterie, faccio una chiamata Mayday sul VHF. Ho preso il VHF a bordo grazie a Éric, il mio team manager, che ha avuto il tempo di darmi questo consiglio poco prima che riattaccassi. Tengo le batterie della zattera per dopo.

“Pochi minuti dopo mi risponde una voce. Una nave cargo che si trova a 6 miglia dalla mia posizione arriva in zona. Sono rassicurato ma non vedo come farò a salire a bordo di un gigante così con questo mare. Sono in costante contatto in VHF con il comandante che non mi vede: il mare è grande e c’è il sole sull’acqua e io sono un puntino arancione. Mi ha detto: “Sei vivo perché mi hai detto: sono a circa 2 miglia dalla tua dritta”.

“Sono a circa due miglia dalla tua dritta. Lancio un razzo di soccorso. Mi vede. Mi perde. Ne ho lanciato un secondo. Mi vede e arriva in zona. Tenta un primo approccio che fallisce. È davvero impressionante trovarsi nella mia zattera gonfiabile a pochi metri da questo gigante d’acciaio. Si scusa sul VHF e parte per un avvicinamento. Mentre passa, la scia cresce, la zattera si riempie di acqua. Si riposiziona controvento rispetto a me, a pochi metri di distanza, è pazzesco, e va alla deriva verso di me. Questo edificio calma un po’ il mare e mi risucchia. La zattera sfrega contro lo scafo da davanti a dietro. Se questa manovra non funziona, tutto diventerà rapidamente più complicato. L’equipaggio mi ha lanciato delle corde che all’inizio non sono riuscito a recuperare.

Alla fine ne recupero uno vicino alla prua della nave. Tutto è giocato fino in fondo. C’è lo spessore di quella linea tra successo e fallimento, sopravvivenza e dramma. L’equipaggio mi trascina verso una passerella che è stata abbandonata. Con le onde a volte salgo al livello della sommità dei gradini poi scendo 5 metri più in basso. Questo è l’ultimo test. Se la zattera di salvataggio va sotto le scale verrà bucata e io verrò gettato in acqua. Mi avvicino. Una prima volta: non pare funzioni. Una seconda ondata, salgo e saltello salto sulle scale che raggiungo poi mi ritrovo tra le braccia di un uomo con il casco. Salgo sul ponte.

Vengo accolto da una ventina di membri dell’equipaggio. È pazzesco questo momento. Mi prendono tra le loro braccia, si congratulano con me. Prima che avessi il tempo di dire Uff, mi portano in una stanza, non mi tolgo la tuta di sopravvivenza. “Ma sei completamente asciutto” mi dicono come allucinati. Si si, siamo attrezzati bene sulle nostre barche da regata…!

Ho fatto una doccia e ho indossato un completo dell’equipaggio. Una volta a bordo del mercantile, la paura e l’adrenalina a sorpresa aumentano. Mi tremano le gambe. È pazzesca questa capacità animale che gli umani hanno di gestire una situazione di sopravvivenza. Poi colpisce dopo, quando sei a casa. La morte non mi ha voluto oggi o meglio la vita non ha voluto che la lasciassi. Sono devastato ma anche il più felice degli uomini perché stasera mia moglie e le mie figlie non andranno a letto piangendo.

Uscendo dalla doccia, incontro il capitano e il suo secondo. Cadiamo l’uno nelle braccia dell’altro. Hanno anche loro le gambe tremanti, mi dicono. Questa avventura non altera in alcun modo la mia passione per il mio lavoro e per l’oceano. Vorrei ringraziare la mia squadra, la direzione della corsa della Route du Rhum Destinazione Guadalupa, le squadre di soccorso, che hanno lavorato per garantire che questa operazione di salvataggio si svolgesse nelle migliori condizioni possibili. Penso anche ai miei partner. Li ringrazio per la loro fiducia.

Tornerò indietro. Torneremo indietro.

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